Il mondo finisce oggi pomeriggio alle tre

com’è tutta la vita e il suo travaglio

in questo seguitare una muraglia

che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia

(Meriggiare pallido e assorto, Eugenio Montale)

 

Il mondo finisce oggi pomeriggio alle tre. Ho nove anni e sono in strada a giocare con gli amici. Abbiamo passato l’intera mattina a rincorrerci e ora decidiamo di trascorrere il pomeriggio in un deposito di bibite abbandonato, all’angolo di via Lametta. E’ un luogo circondato da una vecchia rete metallica piena di buchi per cui è facile entrare, percorrere il cortile infestato di erbacce e nascondersi dietro cataste di casse con bottiglie vuote di aranciata, coca cola e acqua.

Oltre alle pile di casse c’è un caseggiato basso, diroccato, finestre con i vetri rotti, porte sfondate. Sono pochi quelli che osano abbandonare la luce del sole per addentrarsi all’interno in un meandro di ragnatele, frantumi di vetro, scontrini sbiaditi, foglie secche. Abbiamo sempre sognato di scoprire un tesoro dentro questo vecchio deposito, che per noi bambini di sei, sette e nove anni, potrebbe essere anche solo qualche spicciolo, un quaderno ammuffito dove scarabocchiare i piani delle nostre battaglie, una bottiglia intatta. Ma nonostante le perlustrazioni non abbiamo mai trovato niente. Pure i tappi di bottiglia piegati e arrugginiti non sono più utili per il nostro gioco cicca e spanna.

Andrea è il primo a salire sul tetto e da lassù prende di mira chi rimane a terra con sassi, bacche di palma e fogli di carta arrotolati a spirale da tirare con la cerbottana. Le bacche sono i proiettili migliori. Saccheggiando le palme delle case vicine puoi riempirti le tasche e avere munizioni per ore e ore di battaglia.

A volte ci penso e mi dico che da grande pianterò una palma in giardino così avrò tutte le bacche che voglio. Poi mi chiedo se da grande giocherò mai a cerbottana. E comunque ci hanno detto che oggi pomeriggio il mondo finisce. La notizia ce l’ha data Emanuele, il più grande del gruppo. Nessuno ha osato domandargli chi gliel’ha detto. A turno gli abbiamo chiesto se ne era sicuro. Lui ha risposto serio sì, oggi alle tre.

Il cortile del deposito di bibite è circondato da cinque enormi pioppi, in questo periodo lasciano cadere i pappi come se nevicasse. Ce ne sono dappertutto, come una coperta che avvolge ogni cosa. Si appiccicano ai pantaloni, si infilano nelle scarpe e alcuni bambini se li spargono sui capelli  per gioco.

E’ una giornata grigia, senza vento. Poche auto in giro e nessuna vecchietta in bicicletta di passaggio, il bersaglio preferito delle nostre cerbottane.

Davide, Manuela e io ci siamo riparati dietro una catasta di casse rosse. Tiriamo qualche sasso in direzione di Andrea appostato sul tetto del deposito. Da lui arrivavano tiri regolari di bacche che fanno tintinnare le bottiglie vuote, cadono poco più in la, attutiti dal tappeto di piumini di pioppo. Tutto,  in questo pomeriggio afoso, in questo fatiscente deposito di bottiglie, fa presagire che il mondo debba finire.

Manuela qualche minuto prima delle tre dice di volere andare a casa. Ha un’aria preoccupata, come se stesse per mettersi a piangere. Le dico di restare con noi, sarebbe bello vedere la fine del mondo assieme. Ma non c’è verso di convincerla. Vuole tornare a casa. Si alza in piedi col broncio e un tiro di Andrea la prende in piena guancia con una bacca nera che rimbalza ai suoi piedi. Manuela la raccoglie, la tiene un attimo sul palmo della mano, si mette a piangere e scappa via di corsa.

Resto al riparo dietro le casse con Davide che non parla e guarda sempre più spesso il suo piccolo orologio al polso.

Penso ai miei. Mio padre a lavorare, mia madre in casa con mia sorella al sicuro. Mi chiedo come possa finire il mondo: che fine faranno questi grandi pioppi, con le foglie più alte che tremano appena al vento. Che fine farà questo deposito, tutte queste inutili bottiglie, casa mia, la mia strada, i miei amici.

Passa un auto di corsa dandomi l’impressione di affrettarsi non so dove. Passa una vecchia in bici, lentamente. L’osservo e mi aspetto che le arrivi addosso una scarica di bacche, ma nessuno tira.

Mi sporgo oltre la cortina di bottiglie, alzo gli occhi verso il tetto del deposito. Andrea se n’è andato e adesso mi accorgo che anche Emanuele non c’è più.

Ritorno giù a terra vicino a Davide che mi osserva e con aria smarrita mi dice sono le tre.

Il mio orologio fa le tre e dieci, ma non dico niente a Davide. Mi stringo a lui fingendo di dovermi ancora riparare dai tiri di Andrea.

Le foglie in cima ai pioppi ondeggiano indolenti. Aspetto ancora un po’ poi gli dico dai, andiamo a giocare a cicca e spanna.